Scrivere di cibo. L’inverno e il pesto di cavolo nero.

Che significa scrivere di cibo? E perché si dovrebbe scrive, nello specifico, di cibo? Il cibo è uno dei bisogni primari che ognuno di noi ha, fin dalle nostre origini, qualcosa che ci accomuna ad ogni essere vivente, qualcosa che permette alla vita di continuare. Detta così sembra una di quelle cose scontate, su cui neppure c’è bisogno di soffermarsi. E, probabilmente, sarebbe così se l’uomo, ad un certo punto della sua storia, non avesse cominciato a cucinare. Cucinare il cibo di cui si nutriva è qualcosa che ha contribuito a distinguere l’uomo dagli animali; allo stesso modo in cui la comunicazione, verbale prima e scritta poi, ha contribuito allo sviluppo della razza umana. Cibo e parole, quindi, sono in qualche modo indissolubilmente legati. Mangiare e comunicare con i propri simili sono state, un tempo, necessità primarie che hanno permesso all’uomo di sopravvivere. Ma, ad un certo punto, sono diventati entrambi qualcosa di più. Oggi potremmo definire cucinare e scrivere (vale a dire l’evoluzione di nutrirsi e comunicare) qualcosa di primario o necessario alla sopravvivenza? Credo che in pochi ne darebbero questa definizione. Eppure, secondo me, cucinare e scrivere sono qualcosa di necessario per mantenere l’uomo per ciò che è adesso. Entrambi sono bisogni dell’anima.

E non è un caso che parlare di cibo sia una delle forme autobiografiche più potenti e, per questo, più affascinanti. Pensiamo a Proust e alla sua madeleine. Il sapore di un dolcetto inzuppato in una tazza di tè ha il potere di suscitare ricordi sepolti, di generare un viaggio a ritroso nella propria memoria, di rivivere sensazioni apparentemente perdute.

Questa è l’immagine, probabilmente, più abusata quando si parla di cibo e scrittura ma credo che sia difficile trovarne una più potente.

Ognuno di noi credo che abbia la sua personale madeleine, quel piatto che riesce ad evocare ricordi, una memoria solo nostra che ha radici lontane, quasi sempre nell’infanzia. Ma quanto è difficile esprimerlo a parole? Quanto è difficile descrivere un sapore? una consistenza? ciò che l’assaggio di un determinato cibo suscita nel nostro palato? Le parole per descrivere tutto questo sono molto difficili da trovare e la sfida per un food writer consiste proprio nel riuscire a trovare quelle parole e renderle universali, significa descrivere un determinato sapore e renderlo immediatamente comprensibile a tutti, anche a chi quel piatto non lo sta mangiando in quel momento, addirittura anche a chi quel piatto non lo ha mangiato mai.

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Come si descrive il sapore del cavolo nero? La prima parola che mi viene da associarvi è pungente, proprio come l’olio nuovo (novo, lo chiamiamo in Toscana) che tradizionalmente lo accompagna su una bruschetta. L’olio nuovo deve avere il ‘pizzicorino’, quel sapore pungente che ti fa tossire se lo inghiottisci e non te lo aspetti. Pungente, dicevamo. E non avevo mai pensato che quel sapore pungente fosse dovuto al fatto che il cavolo nero è un elemento acido, prima che me lo raccontasse Samin Nosrat.

Il cavolo nero, più di ogni altro ortaggio, qui in Toscana è simbolo dell’inverno. Le sue foglie rugose diventano più buone quando vengono bruciate dalla brina dei primi freddi. E come l’inverno il cavolo nero può respingere chi non è abituato al suo sapore intenso. Il cavolo nero non si fa addomesticare. E’ una verdura che non accetta di essere relegata ad un ruolo secondario ma deve essere protagonista. In Toscana è protagonista di una delle zuppe più buone che ci siano insieme ai fagioli: la ribollita. Una zuppa povera a base di fagioli, pane e cavolo nero che viene bollita due volte, come dice il nome, e che è uno dei miei comfort food per eccellenza.

Ma torniamo al cavolo nero e alla sua voglia di protagonismo.

Da qualche anno preparo volentieri questo pesto di cavolo nero, una di quelle ricette jolly che è bene avere nel proprio ricettario per gli infiniti abbinamenti a cui si presta e per la comodità di poterlo conservare a lungo congelato in porzioni ed utilizzarlo quando ritorni a casa stanca dal lavoro e non hai proprio voglia di metterti a cucinare oppure quando qualche amico decide di fermarsi per cena e tu non hai pensato a nulla ma hai un vasetto di questo pesto surgelato e, naturalmente, un pacco di pasta a portata di mano.

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Ne troverete diverse di ricette di pesto di cavolo nero sul web. Quella che vi propongo è quella che preparo ormai da qualche anno e l’ho messa a punto piano piano, dosando e calibrando tutti gli ingredienti per ottenere proprio il sapore che piace a me. Volevo che il cavolo nero con il suo sapore pungente fosse ben evidente, non soffocato dagli altri ingredienti, ma volevo anche che l’olio e il pecorino si percepissero subito dopo in maniera precisa. Inizialmente preparai questo pesto partendo dal cavolo nero crudo ma in questo modo era difficile ottenere una salsa cremosa ed avvolgente come avevo in mente, per cui adesso scotto le foglie di cavolo prima di frullarle con gli altri ingredienti.

Questo pesto, come ho anticipato, è un vero jolly perché è perfetto per condire un piatto di pasta ma è altrettanto favoloso su una fetta di pane abbrustolito, leggermente strusciato con uno spicchio d’aglio e condito generosamente con un filo di olio nuovo. Forse questo è l’abbinamento che preferisco, il più semplice ma anche il più completo, quello in cui il sapore pungente del cavolo nero si unisce al pizzicore dell’olio nuovo lasciando in bocca un sapore intenso, persistente, rustico, un sapore che rimanda ai contadini e alla terra, all’inverno, al freddo e ad un camino acceso con un fuoco scoppiettante.

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Il classico abbinamento con la pasta funziona sempre. Un piatto di pasta al pesto di cavolo nero in inverno può fare da contraltare ad un piatto di pasta al pesto di basilico d’estate. Qui potete giocare con gli abbinamenti, non soltanto per quanto riguarda il formato di pasta, ma anche per la tipologia di farina usata. Provatelo, ad esempio, con una pasta ai cereali oppure al farro. Io ho preparato dei pici alla farina di castagne per questo pesto e l’ho trovato un abbinamento ben riuscito perché il dolce dato dalla farina di castagne bilancia perfettamente l’acido del cavolo nero, creando un sapore complesso molto interessante. Vi lascio anche la ricetta dei pici più avanti, così che possiate provare anche questo abbinamento.

Infine ho osato un abbinamento inedito questa volta ed ho deciso di utilizzare il pesto di cavolo nero come dip per accompagnare dei nachos di mais. In questo caso l’idea mi è venuta guardando Salt Fat Acid Heat di Samin Nosrat su Netflix. Parlando dell’elemento acido Samin ci porta in Messico, dove ci racconta che l’acido viene usato molto spesso nei piatti della cucina del luogo e che le tortillia di mais sono ideali per accompagnare questi piatti perché assorbono l’acido. Allora ho pensato subito ai nachos, che altro non sono che dei triangoli di tortillia fritti. Perché non utilizzare il pesto di cavolo nero come una salsa per accompagnare i nachos? Del resto nella cucina messicana spesso vengono accompagnati con il guacamole, che è una salsa a base di lime e avocado dove l’elemento acido è protagonista assoluto. E’ stata una rivelazione! Vi consiglio di provarlo perché come accompagnamento dei nachos il pesto di cavolo nero si trasforma e si esalta. Provatelo e me lo saprete ridire.

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Pesto di cavolo nero

Porzioni: 4 persone     Tempo di preparazione: 10 minuti     Tempo totale: 30 minuti

Ingredienti:

1 mazzo di cavolo nero (500 gr circa, 250 gr al netto degli scarti)

150 gr di mandorle

80 gr di pecorino toscano stagionato

1 spicchio d’aglio

olio extravergine d’oliva qb

sale qb

Preparazione:

Lavare accuratamente le foglie di cavolo nero, privarle della parte dura della costola centrale, tagliarle grossolanamente e cuocerle in acqua bollente per circa 20 minuti.

Scolarle e farle raffreddare completamente.

In un mixer tritare l’aglio, le mandorle, il pecorino a pezzi e il cavolo nero, aggiungendo mano a mano l’olio a filo fino a raggiungere una consistenza cremosa.

Assaggiare e regolare di sale.

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Pici alla farina di castagne

Porzioni: 2 persone     Tempo di preparazione: 30 minuti     Tempo totale: 35 minuti + riposo

Ingredienti:

50 gr di farina di castagne

50 gr di semola

100 gr di farina 0

100 cc di acqua

1 cucchiaino di sale fino

1 cucchiaio di olio extravergine di oliva

Preparazione:

In una ciotola capiente mescolare le farine, aggiungere il sale e l’olio ed amalgamare con una forchetta. A questo punto aggiungere l’acqua a filo ed incorporarla alle farine con la forchetta. Quando l’impasto raggiunge una consistenza difficile da lavorare con la forchetta rovesciarlo sulla spianatoia e cominciare a lavorarlo con le mani fino ad ottenere un composto liscio ed elastico. Eventualmente aggiungere qualche cucchiaio d’acqua perché dipende dal grado di assorbimento delle farine. L’importante è la lavorazione della pasta che deve proseguire fino a farle raggiungere la giusta consistenza.

Formare una palla e farla riposare mezz’ora a temperatura ambiente coperta dalla ciotola rovesciata.

Una volta trascorso il tempo di riposo mettere a bollire una pentola d’acqua salata. Recuperare l’impasto, lavorarlo ancora rapidamente e stenderlo sulla spianatoia cosparsa di semola con un mattarello. Stendere allo spessore di mezzo centimetro e tagliare con un coltello affilato tante strisce di pasta fino ad esaurire tutto l’impasto. Arrotolare i pici uno ad uno facendoli scorrere sulla spianatoia cosparsa di semola fino a dar loro la forma di uno spaghettone  cilindrico non troppo spesso (in cottura i pici assorbiranno acqua e si gonfieranno). Adagiare i pici su uno strofinaccio cosparso di semola mano a mano che sono pronti.

Cuocere per 5 minuti, scolare e condire.


Se si parla di food writing in Italia è impossibile non citare Giulia che è riuscita ad elevare lo scrivere di cibo ad un livello altissimo, nei suoi libri ma, soprattutto, nel suo blog. Sono post come questo che hanno costituito e costituiscono per me un’ispirazione costante ed imprescindibile. Forse è proprio per questo post, più di ogni altro, che ho voluto cominciare questo blog.

Se vuoi saperne di più sul food writing e tenere d’occhio il panorama del food writing italiano e la sua evoluzione devi necessariamente seguire il blog di Rossella ma, soprattutto, i suoi profili social dove riflette ogni giorno su cosa significhi scrivere di cibo.

Molly Wizenberg, invece, è colei che mi ha fatta innamorare del food writing. Leggere il suo La mia vita fatta in casa è stata una rivelazione. La voce di Molly è fresca, amichevole, gentile. Leggere di lei e della sua cucina è una di quelle cose che ti riappacifica con il mondo. Ho letto questo libro un’estate in spiaggia e ne ho adorata ogni parola. Sono mesi che mi dico che vorrei rileggerlo ma temo di perdere la freschezza che mi ha trasmessa alla prima lettura, per cui tentenno e rimando. Ma prima o poi dovrò decidermi a leggere di nuovo il libro che mi ha fatta innamorare dello scrivere di cibo.

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